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Italenglish: come cambia la comunicazione

ItalEnglish: come cambia la comunicazione

Tempo lettura stimato: 3 min

Durante uno scroll su TikTok, mi ha catturato un video che promuoveva corsi di formazione sull’AI, la scena è più o meno questa: una persona parla in italiano, ma ogni tre parole spunta un termine inglese che si impossessa della frase come un software preinstallato. Cito testualmente:
Un’azienda vuole ridurre il churn rate del 20%. L’AI Solutions Architect parte da qui. Traduce un obiettivo di business in un’architettura completa. Definisce le pipeline dati, sceglie il framework ML, imposta gli SLA e i costi cloud, supervisiona AI engineer e developer fino al deployment in produzione.
Tradotto:
Un’azienda vuole ridurre il tasso di abbandono del 20%. L’architetto di soluzioni basate sull’intelligenza artificiale parte da qui. Traduce un obiettivo strategico aziendale in un’architettura completa. Definisce le procedure di elaborazione dei dati, sceglie il sistema di apprendimento automatico, imposta gli accordi sui livelli di servizio e i costi dell’infrastruttura digitale, supervisiona gli ingegneri dell’intelligenza artificiale e gli sviluppatori fino alla messa in produzione.”

Questa commistione tra lingue, il celebre ItalEnglish, non è più una moda, ma un codice culturale. Il punto non è demonizzare l’inglese (fondamentale), ma capire che ogni lingua funziona bene solo se sa restare… una lingua, non un collage di termini.

Perché usiamo così tanti termini inglesi?

Le motivazioni non sono semplici, e in questo caso si dividono tra due grandi famiglie: ragioni logiche e ragioni emotive.
Sul piano logico, dobbiamo riconoscere che buona parte del nostro lessico professionale arriva direttamente da un mondo, quello digitale, nato e cresciuto in inglese. A questo si aggiunge l’esigenza di muoversi in processi sempre più globali, dove parole “universali” garantiscono una comprensione immediata. E, naturalmente, c’è la pressione costante a comunicare in modo rapido, sintetico, immediato.

Sul piano emotivo, invece, le dinamiche diventano più sottili:

Le ragioni logiche:

  • Il mondo digitale nasce in inglese.
  • I processi globali preferiscono parole “universali”.
  • I contesti professionali puntano all’immediatezza comunicativa.

Le ragioni emotive:

  • Smart ha sostituito “intelligente”, “furbo”, “pratico”, “semplice”, “elegante”, “tecnologico”.
  • Challenge ha sostituito “sfida”, “ostacolo”, “problema”, “criticità”, “obiettivo difficile”, “opportunità”.
  • Skill ha sostituito “competenza”, “capacità”, “attitudine”, “talento”, “esperienza”, “predisposizione”.

Risultato:

meno parole ->meno sfumature -> meno precisione -> meno pensiero critico.

E no, non è solo un tema da puristi della Crusca: è un tema di produttività cognitiva.

Il rischio dell’ItalEnglish la neolingua aziendale

L’ItalEnglish la neolingua professionale che stiamo creando rischia di appiattire il pensiero.
Se per commitment intendiamo tutto, da mancanza di fiducia a scarsa motivazione, come possiamo gestire un progetto in modo efficace?

Il linguaggio è una mappa del pensiero.
Una mappa precisa permette di orientarsi.
Una mappa semplificata porta a sbattere.

E, paradossalmente, mentre temiamo che l’intelligenza artificiale ci sostituisca, stiamo già adattando la lingua a un modello compatibile con le macchine: più semplice, meno sfumato, più facile da prevedere.

Una scorciatoia che, probabilmente, pagheremo cara.

L’inglese va imparato molto bene. L’italiano va usato meglio.

La soluzione non è scegliere tra italiano e inglese.
La soluzione è usarli entrambi, senza lasciare che uno divori l’altro.

L’inglese serve.
Ma anche un manager, un creativo, un professionista che sa usare l’italiano in tutta la sua ricchezza ha più strumenti per:

  • descrivere problemi;
  • individuare soluzioni;
  • negoziare;
  • comprendere sfumature;
  • comunicare efficacemente.

In una parola: pensare.

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*Fotografia: Sentire o capire. © 2025 dpsonline* – realizzata con intelligenza artificiale

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